Protesi dell'anca

L’anca è un’articolazione portante, posta fra il bacino e il femore che costituiscono una sorta d’impalcatura dinamica scheletrica che permette il movimento indipendente degli arti inferiori.



La sua funzione portante, con il passare degli anni o a causa di determinate patologie, per una mancata prevenzione oppure per un insuccesso di tutte le terapie mediche e non, può portare all’usura del rivestimento cartilagineo della testa del femore e alla necessità di impiantare una protesi sostitutiva per ridare al paziente la libertà di movimento senza dolore.


Osteoartrosi

È una patologia molto frequente, come risultato di eventi traumatici, sovraccarichi biomeccanici e ponderali, come pure malattie infiammatorie reumatiche o metaboliche. Qualunque sia l’origine il risultato è una alterazione della scorrevolezza articolare con perdita della morfologia dei capi articolari e conseguente dolore e rigidità.


Necrosi

È una patologia molto più frequente di quanto si possa immaginare, una diminuzione del flusso di sangue nella testa del femore, genera ischemia e quindi la morte delle cellule per mancanza di nutrimento, causando l’impossibilità della struttura articolare di sorreggere il peso corporeo. Si può verificare a seguito di un episodio traumatico, come conseguenza di alcune malattie intestinali, insufficienza renale o per l’assunzione per lunghi periodi di farmaci come i cortisonici, bifosfonati, immunosoppressori.

Tali patologie possono trovare un proficuo trattamento mediante un impianto protesico totale.


Fai femoro

Caratterizzato da una forma anomala della testa femorale e/o dell’acetabolo (l’incavo dell’osso del bacino che ospita la testa del femore) che compromette il corretto meccanismo articolare, provoca usura delle cartilagini e predispone all’artrosi. Tale patologia, se correttamente e precocemente individuata, potrebbe trovare un proficuo trattamento attraverso un trattamento chinesiologico e osteopatico. Nei casi avanzati e prima di una inesorabile trasformazione francamente artrosica, può essere interessante un trattamento conservativo artroscopico per ripristinare l’aspetto contenitivo e quindi l’ottimale accoppiamento femoro acetabolare.


La sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca si esegue in presenza di situazioni invalidanti e dolorose.


La tecnica mininvasiva è sempre applicabile. Con questo sistema si praticano brecce chirurgiche attraverso le quali si interviene sulla parte interessata. Ovviamente ogni caso è a sé stante, perché entrano in gioco la patologia da trattare, la struttura corporea del paziente e la tipologia della protesi che sarà applicata, al fine di ricostruire al meglio la geometria articolare dell’anca.

Vantaggi della tecnica mininvasiva

La chirurgia mininvasiva non è la chirurgia del piccolo taglio, ma la chirurgia del rispetto dei tessuti. Riduce sensibilmente il trauma chirurgico, perché i muscoli non vengono disinseriti. Di conseguenza si accorciano i tempi del decorso post-operatorio, con una più rapida ripresa delle normali funzioni deambulatorie.

Questa metodologia, ove correttamente eseguita, espone a minori complicanze e consente un contenimento del sanguinamento perioperatorio, con un calo del tasso di trasfusione.

Inoltre, ha significativi vantaggi estetici lasciando cicatrici piccole e in posizioni poco visibili.

Naturalmente la finalità della scelta tecnica d’intervento, la via d’accesso utilizzata per raggiungere l’articolazione dell’anca, il numero o le dimensioni delle incisioni non possono e non devono essere finalizzate all’estetica, ma devono mirare al benessere finale del paziente.


Lo stesso giorno dell’intervento inizia la pratica del recupero funzionale.

Dopo una degenza di circa 6 giorni, solo su indicazione medica, si può iniziare il percorso riabilitativo domiciliare che consiste in esercizi per il recupero muscolare e della mobilità dell’articolazione, per riprendere le quotidiane attività.


Domanda molto frequente, alla quale non è possibile dare una risposta standardizzata. Tuttavia ritengo che la vera chiave di volta nella riuscita e nella soddisfazione reciproca medico paziente sia una corretta miscela di giusta attenzione, determinazione, costanza da parte di entrambi.


Le protesi sono scelte in base alla biocompatibilità con il ricevente per un’ottimale integrazione dell’impianto con la parte ossea del paziente. Sollevata questa doverosa premessa, mi piace evidenziare che l’impianto protesico nel corso degli anni subisce scarse modificazioni, spesso del tutto trascurabili. Per contro il corpo in ogni sua parte si altera, frequentemente si generano alterazioni biomeccaniche che cambiano i rapporti dei vettori di forza. Anche la qualità dell’osso, sia nella sua composizione e in definitiva nella sua robustezza, cambia in assoluto e in particolare nella zona di impianto protesico. Il peso del paziente, la sedentarietà o meno, l’alimentazione, lo stato infiammatorio sono tutte variabili che potrebbero modificare la durata dell’impianto protesico.